Il film “Il diario di Bridget Jones” ha orami più di dieci anni, ma come dimenticare le divertenti abbuffate alimentari della protagonista?
Questo comportamento, rappresentato nella commedia in modo buffo e scanzonato, è nella realtà quotidiana una risposta disfunzionale a un disagio emotivo.
Invece di gestire adeguatamente emozioni quali l’ansia, la rabbia e la tristezza, Bridget usa il cibo come autoconsolazione, gratificazione immediata e sfogo.
L’alimentazione emotiva è un problema più frequente di quanto si possa pensare, ma non sempre è riconosciuto e affrontato. Tuttavia, gestire le proprie emozioni attraverso il cibo, oltre a promuovere un calo dell’autostima, può creare seri problemi di sovrappeso, perchè si assumono più calorie del necessario, con conseguenti danni per la salute e rischio d’obesità.
Il cibo, usato come “distrattore” dallo stato emotivo doloroso, non solo non risolve i problemi a lungo termine, ma molto spesso aggiunge problemi su problemi, non permettendo alla persona d’imparare a regolare la propria emotività.
Le persone che soffrono di fame emotiva faticano a riconoscere le proprie emozioni, ad accettarle e tollerarle, e quindi mangiano per noia, rabbia, tristezza, confondendo le sensazioni emotive con i segnali della reale fame emessi dal corpo. A queste emozioni si aggiunge molto frequentemente in seguito il senso di colpa per aver trasgredito al proposito di dieta o semplicemente di una sana alimentazione.
La gratificazione immediata, data dal cibo, è un potente rinforzo positivo per l’uomo (basti pensare al senso di appagamento di un bambino dopo essere stato allattato) ed ecco che ci si ritrova in poco tempo a mettere in atto comportamenti che, alla lunga, ci danneggiano nel corpo e nello spirito: invece d’affrontare l’emozione si zittiscono i sentimenti indesiderati.
Stando così le cose è facile dedurre che a volte, rivolgersi solo a un nutrizionista o a un dietologo può non essere sufficiente.
In queste situazioni l’affiancamento di un breve percorso con lo psicoterapeuta può essere risolutivo, perchè si ha la possibilità d’affrontare il cibo da una nuova prospettiva emotiva.
La terapia cognitivo-comportamentale in questo senso può aiutare le persone seguite dal dietologo ad affrontare gli aspetti emotivi legati al cibo e all’alimentazione.